Autrice: Syrie James
Casa editrice: PIEMME
Genere: Narrativa
Data pubblicazione: 30 giugno 2009
Tutti noi abbiamo nel cuore una città in particolare: magari ci ha stupiti per il suo splendore artistico o per la sua importanza storica; forse ci ha catturati per quello che offre a partire dai musei fino ai locali e alle vie dello shopping; oppure semplicemente la sua ospitalità ci ha talmente colpiti da farci sentire come a casa. Ce ne siamo innamorati al punto di tornarci ogni volta che ci è possibile, collezionandone ricordi che danno alla “nostra” città un valore ancor più grande.
Per quanto possiamo sentirci parte di essa, ci sono degli aspetti che non riusciremo mai però a comprendere, e che ci rendono pur sempre degli estranei nei suoi confronti.
Esiste infatti un lato della città che ci rimane nascosto, quello che emerge quando al calare della sera la criminalità inizia a muovere i suoi burattini, contando sulla complicità dell’indifferenza o dell’omertà altrui.
In una grande città come Milano, dove la malavita cerca continuamente di insinuarsi in ogni contesto possibile, non è nemmeno così difficile reclutare dei seguaci, facendo leva sul desiderio dei giovani, e non solo, di guadagnarsi facilmente denaro, e ancor più sulla disperazione di chi fatica ad arrivare a fine mese.
Una splendida Milano, città delle opportunità e dei sogni di molti giovani, che sembra però destinata a perdere così se stessa per le molte gang che la popolano, i poveri , i disperati.
L’autore oltre a mostrarcela sotto le sue diverse luci, concentra la sua attenzione sul particolare legame instaurato nel tempo tra due ragazzi: Michael, che si ritrova a gestire le attività del defunto padre malavitoso, desideroso di ottenere sempre più potere nella sua città,
“Tutti tacciono, Michael ha vietato le lacrime, che devono aspettare, ha bisogno di riflettere, capire, che il primo a piangere i morti deve essere lui. Ma di capire e riflettere gli riesce difficile. […] Michael scuote la testa come se quel movimeto fosse capace di dire e lasciare uscire ciò che ha in mente. Picchia un pugno sul volante, poi rallenta perchè ha bisogno di fumare. Si ferma su un lato della strada. Trova la sigaretta, l’accende, fa un paio di tiri e dice: “faccio una strage”.
e Carmine, un ragazzo che vive con la madre Teresa e con la quale ha un rapporto burrascoso dovuto alla fatica di arrivare a fine mese, ma che non vuole rinunciare a realizzare i propri sogni.
“Teresa si era alzata dal tavolo, un gesto veloce, portando via il piatto sporco per riporlo nel lavabo. Si era appoggiata con entrambe le mani alla cucina, la testa reclinata sul lato e gli occhi fissi a guardare la pila verso cui rifluisce l’acqua. Aveva provato vergogna e umiliazione. La schiena di mamma era come un libro su cui qualcuno vi aveva scritto: sono stanca, cazzo, di tirare avanti senza ottenere niente in cambio. Niente. Cazzo. Niente di niente. Solo rifiuti e sacrifici.”
La storia si fa sempre più incalzante con l’arrivo in città di un misterioso personaggio, Franz, desideroso di insinuarsi nella vita di Michael, e soprattutto nei suoi affari. Franz studia le persone, sa cosa vogliono e sa come sfruttarle al meglio per ottenere quello che va cercando, come appare dai suoi pensieri.
“Michael rappresenta la gioventù che non ne ha mai abbastanza. Facile colpirla, facile ammaliarla. E lui è una preda perfetta. Se gli fai sentire il profumo dei soldi, gli corre dietro come l’asino con la carota. È uno squalo affamato che mangerebbe pure la plastica che finisce nei mari senza accorgersi che non è pesce.”
Oltre ai misteri e alle vicende sentimentali che spingono il lettore a volerne sapere sempre di piu, ciò che ha tenuto fortemente vivo il mio interesse è proprio la particolare amicizia tra Carmine e Michael, inusuale date le enormi differenze tra i due.
Le personalità, le vite di entrambi vengono scavate talmente nel profondo da permetterti di entrare a pieno nella storia come se li conoscessi veramente, dandoti la possibilità di guardare più da vicino il lato oscuro della città, che seppur non potrai mai comprendere davvero, riesce a farti sentire un po’ meno estranea ad essa.
Jess
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Da tempo nutro la convinzione che la narrativa francese non sbagli un colpo, magari esagero e comunque non possiedo neppure le giuste conoscenze in campo letterario che possano giustificare un’affermazione così netta.
Mettiamola così, la mia è più una sensazione legata al fatto di non ricordare un romanzo francese brutto, almeno non negli ultimi anni, ma insomma è un’opinione e null’altro.
Veniamo al libro di Dubois, naturalmente mi è piaciuto anche se ci sono degli aspetti che non mi hanno convinto per intero e parto proprio con quelli:
il romanzo si divide in due piani di lettura, il primo è relativo alla permanenza in carcere del protagonista Paul Hansen e racconta la sua convivenza col compagno di cella Patrick Horton mentre il secondo, che confesso di aver amato molto, è un po’ una storia di formazione dello stesso Paul.
Ecco proprio il raccordo fra questi due piani mi è sembrato un pelino approssimativo, spesso nello stesso capitolo ci si ritrova a passare dall’uno all’altro senza rendersene conto, nemmeno uno spazio a separarli, si e no una scarna punteggiatura.
E la parte relativa al carcere non di rado mi è parso un po’ ristagnare, quasi aggrovigliarsi su se stessa, a differenza delle pagine sulla vita di Paul che personalmente avrei persino ampliato.
Devo dire che tra i vari personaggi ho apprezzato tantissimo i genitori di Paul, questa storia d’amore così anni sessanta fra due persone più che diverse opposte, lui un religioso apparentemente rigoroso e lei proprietaria di un cinema d’essai che alla Bibbia anteponeva la distribuzione di Gola profonda.
E Paul in mezzo a loro, diviso fra la fragilità paterna e il pragmatismo materno…”Il tempo passa e, quando ripenso a tutto questo, arrivo a dirmi che mia madre sarebbe stata un padre formidabile”……”All’opposto della madre di Patrick Horton, la mia non mi avrebbe mai infilato una Bibbia nella borsa prima che entrassi in carcere.
Credo anzi che sulla soglia di casa mi avrebbe detto qualcosa d’incoraggiante e di profondamente caustico come: “Le persone che lavorano si annoiano quando non lavorano.Le persone che non lavorano non si annoiano mai”.
Difficile restare insensibili davanti a passaggi così potenti.
Il personaggio di Anna, la madre, è probabilmente persino più importante di quello che l’autore sembra voler mostrare, e d’altronde lo dimostra la scelta del nome perché in ogni romanzo di Dubois troviamo sempre un Paul ed una Anna, un segno, credo, inequivocabile.
Che aggiungere, parlerei per ore di questo romanzo, inevitabilmente approfondirò Dubois a cui sono, forse sarebbe più corretto dire siamo, debitore di uno dei titoli più belli degli ultimi anni, Non stiamo tutti al mondo nello stesso modo, quasi un aforisma per sottolineare quanto possa essere immensa la distanza che ci separa dagli altri.
E cosa meglio di un carcere può simboleggiare questa diversità?
Paul e Patrick sono opposti almeno quanto i genitori di Paul, Patrick è lì perché deve pagare il suo debito con la giustizia mentre in Paul non c’è probabilmente nulla da redimere.
Il carcere per Paul sembra quasi un mezzo per vivere più serenamente con i propri fantasmi, non a caso mentre il desiderio principale di Patrick è uscire di prigione Paul non ha questo assillo, il passato osservato fra le mura carcerarie ha dei dettagli più nitidi.
E d’altro canto Dubois non chiarisce se non alla fine i motivi che hanno condotto Paul alla detenzione, a quel punto si comprenderanno molte cose, o forse no ma non è importante, nessun dolore è uguale ad un altro, nessuna vita lo è, nessun fallimento, ma tutto questo a pensarci bene è chiaro già nel titolo.
Massy
“Tornò alla marina a osservare gli uccelli in aria, quando atterravano, quando ammaravano, quando spiccavano il volo. Si accorse che i venti cambiavano direzione con regolarità nel corso della giornata. Chiese ai pescatori, ai barcaiuoli, alle lavannare che stendevano i panni alla marina di Santa Lucia. Tutti ridevano tra i denti di quello strano ragazzo con gli occhi scavati dal sonno che chiedeva del vento come fosse questione di vita o di morte. E si, dicevano, il vento gira nel golf, come un orologio, dicevano alcuni, come un girasole, dicevano altri”
Il 19° secolo è stato il periodo del cambiamento, da una società rurale si passo’ a quella industriale che cambiò completamente la vita dell’umanità. L’avvento delle industrie e le nuove scoperte nel campo della scienza, della medicina affinarono l’ingegno di menti eccellenti che sfruttarono queste conoscenze per creare, appunto, magnifiche invenzioni.
Siamo a Napoli nel 1880 e in uno scenario fatto di miseria troviamo i fratelli Gaetano e Tunino. Il primo è una promessa del balletto, è chiamato O ciucciariello dai compagni per via dei suoi trascorsi come sguattero del teatro. Tunino lavora come fabbro e sbriga anche le faccende casalinghe.
Una sera dopo una rappresentazione teatrale incontrano Etienne Jules Marey, uno scienziato francese che ha creato un fucile fotografico che vuole perfezionare riprendendo i salti di Gaetano durante le danza. Entrambi i fratelli rimarranno molto colpiti da questo oggetto, Tunino in particolare verrà preso dalla febbre per le invenzioni.
Il rapporto con Marey si consolida e i due fratelli iniziano a frequentare la casa con assiduità, specialmente Tunino che alla passione per le invenzioni unirà quella per Apollonia, che presta servizio nella villa di Marey a Posillipo e che prende subito in simpatia il ragazzo.
Altri personaggi si muovono intorno ai protagonisti come Rachelina, madre dei ragazzi, una donna disillusa e che la miseria ha incattivito rendendola avara di affetto e soldi, Philippe amico di Tunino, e insegnante di piano di Francesca figlia di Marey, anarchico. Apollonia una ragazza semplice, ma dal buon cuore, probabilmente il personaggio più bello del romanzo.
Un ruolo lo hanno anche Napoli e Parigi, la prima raccontata nel duplice aspetto di città divisa tra zone degradate in cui vige la miseria e la sopraffazione come nel Cavone, rapportato a Posillipo dove il mare e le ville che si affacciano su di esso sono appannaggio dei signori. Parigi invece è vista come la città del fermento culturale e scientifico grazie all’Esposizione Universale del 1889, dove la Tour Eiffel si mostrava in tutto il suo fulgore e le menti più brillanti si dettero appuntamento per scoprire le nuove invenzioni che avrebbero portato al progresso scientifico e tecnologico del secolo che stava per arrivare.
Ognuno dei personaggi principali ha un obiettivo da raggiungere: Gaetano sogna di diventare un ballerino famoso e un coreografo, Tunino vuole diventare un inventore e soprattutto creare uno strumento che gli permetta di volare, Etienne vuole creare invenzioni rivoluzionarie che gli permettano di farsi apprezzare dagli altri scienziati come lo zootropo, antesignano degli apparecchi cinematografici.
La storia fa da sfondo come le celebrazioni per il centenario della Rivoluzione francese o i riferimenti ai movimenti anarchici che caratterizzarono la fine de secolo.
L’omosessualità, altro tema del romanzo, vista all’epoca come una devianza, un’inclinazione da debosciati per cui indulgere in certe pratiche poteva significare l’ostracismo dalla società, soprattutto per chi apparteneva a classi sociali abbienti. Si nascondeva per paura di perdere la dignità se si fosse scoperta questa inclinazione. Ipocrisia e finto perbenismo erano molto comuni.
Scritto con un linguaggio semplice, ma non ordinario, e che l’uso del dialetto rende più incisivo, con dei personaggi indimenticabili, Le magnifiche invenzioni è uno splendido esordio e uno dei libri più belli dell’anno.
Valeria