Non stiamo tutti al mondo nello stesso modo – Paul Dubois

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Da tempo nutro la convinzione che la narrativa francese non sbagli un colpo, magari esagero e comunque non possiedo neppure le giuste conoscenze in campo letterario che possano giustificare un’affermazione così netta.
Mettiamola così, la mia è più una sensazione legata al fatto di non ricordare un romanzo francese brutto, almeno non negli ultimi anni, ma insomma è un’opinione e null’altro.

Veniamo al libro di Dubois, naturalmente mi è piaciuto anche se ci sono degli aspetti che non mi hanno convinto per intero e parto proprio con quelli:
il romanzo si divide in due piani di lettura, il primo è relativo alla permanenza in carcere del protagonista Paul Hansen e racconta la sua convivenza col compagno di cella Patrick Horton mentre il secondo, che confesso di aver amato molto, è un po’ una storia di formazione dello stesso Paul.
Ecco proprio il raccordo fra questi due piani mi è sembrato un pelino approssimativo, spesso nello stesso capitolo ci si ritrova a passare dall’uno all’altro senza rendersene conto, nemmeno uno spazio a separarli, si e no una scarna punteggiatura.
E la parte relativa al carcere non di rado mi è parso un po’ ristagnare, quasi aggrovigliarsi su se stessa, a differenza delle pagine sulla vita di Paul che personalmente avrei persino ampliato.

DIVISORIO

Devo dire che tra i vari personaggi ho apprezzato tantissimo i genitori di Paul, questa storia d’amore così anni sessanta fra due persone più che diverse opposte, lui un religioso apparentemente rigoroso e lei proprietaria di un cinema d’essai che alla Bibbia anteponeva la distribuzione di Gola profonda.
E Paul in mezzo a loro, diviso fra la fragilità paterna e il pragmatismo materno…”Il tempo passa e, quando ripenso a tutto questo, arrivo a dirmi che mia madre sarebbe stata un padre formidabile”……”All’opposto della madre di Patrick Horton, la mia non mi avrebbe mai infilato una Bibbia nella borsa prima che entrassi in carcere.
Credo anzi che sulla soglia di casa mi avrebbe detto qualcosa d’incoraggiante e di profondamente caustico come: “Le persone che lavorano si annoiano quando non lavorano.Le persone che non lavorano non si annoiano mai”.
Difficile restare insensibili davanti a passaggi così potenti.

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Il personaggio di Anna, la madre, è probabilmente persino più importante di quello che l’autore sembra voler mostrare, e d’altronde lo dimostra la scelta del nome perché in ogni romanzo di Dubois troviamo sempre un Paul ed una Anna, un segno, credo, inequivocabile.

Che aggiungere, parlerei per ore di questo romanzo, inevitabilmente approfondirò Dubois a cui sono, forse sarebbe più corretto dire siamo, debitore di uno dei titoli più belli degli ultimi anni, Non stiamo tutti al mondo nello stesso modo, quasi un aforisma per sottolineare quanto possa essere immensa la distanza che ci separa dagli altri.

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E cosa meglio di un carcere può simboleggiare questa diversità?
Paul e Patrick sono opposti almeno quanto i genitori di Paul, Patrick è lì perché deve pagare il suo debito con la giustizia mentre in Paul non c’è probabilmente nulla da redimere.
Il carcere per Paul sembra quasi un mezzo per vivere più serenamente con i propri fantasmi, non a caso mentre il desiderio principale di Patrick è uscire di prigione Paul non ha questo assillo, il passato osservato fra le mura carcerarie ha dei dettagli più nitidi.
E d’altro canto Dubois non chiarisce se non alla fine i motivi che hanno condotto Paul alla detenzione, a quel punto si comprenderanno molte cose, o forse no ma non è importante, nessun dolore è uguale ad un altro, nessuna vita lo è, nessun fallimento, ma tutto questo a pensarci bene è chiaro già nel titolo.

Massy

 

 

Non stiamo tutti al mondo nello stesso modo – Paul Duboisultima modifica: 2021-10-02T01:27:13+02:00da fval329
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