Morte al filatoio -Ottavia Niccoli

morte al filatoio

 

Siamo nel novembre del 1592, don Tomasso che dirige l’ospizio di san Biagio a Bologna, assiste a una denuncia fatta da Violante nei confronti di un cartello, scritto da ignoti,  in cui è accusata di aver ucciso il marito. Il notaio Marini, amico di don Tomasso, chiede a questi di informarsi su quanto accaduto chiedendo notizie in proposito a don Lucio che ha eseguito il funerale e che forse è stato l’amante della vedova.

Intanto all’ospizio due ragazzini rifugiatisi li, Ettore e Gianandrea, raccontano di aver visto il cadavere di una ragazza che lavorava presso il filatoio Righi, nel canale sottostante a questo. Poco tempo dopo il cadavere della ragazza trascinato dal torrente verrà ritrovato nel canale sotto l’ospizio. Don Tomasso viene incaricato dal notaio di approfondire anche questa faccenda.

In seguito all’autopsia eseguita sul cadavere del marito di Violante don Tomasso  scopre che questi è stato assassinato con il veleno per topi che don Lucio tiene in un orcio, mentre la ragazza che lavorava al filatoio era oggetto di attenzioni concupiscenti da parte del Righi e di un garzone.

Grazie alle chiacchiere delle donne e alla capacità di Gianandrea di favorire le confidenze, don Tomasso riuscirà piano piano a ricomporre i pezzi del puzzle e ad assicurare i colpevoli alla giustizia.

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 Ho letto in anteprima questo romanzo grazie alla cortesia di Vallecchi Firenze e ciò che mi ha colpito sin dalle prime pagine, è il perfetto equilibrio tra la parte storica e quella di fantasia. La Niccoli è una storica specializzata nel Rinascimento e nella Riforma e queste sue conoscenze sono evidenti nell’insieme di usi, costumi e tradizioni riportate nel romanzo, come per fare un paio di esempi, nel modo in cui è redatta la trascrizione dell’autopsia, ossia rispettando le regole in cui venivano scritti i documenti all’epoca (c’era tutto un iter di regole da seguire) o il riferimento a un tipo di scrittura utilizzata per redigere un atto.

Il meccanismo del giallo è ben oliato, tutte le domande che il lettore si pone durante la narrazione ricevono una risposta,  niente è lasciato in sospeso. La narrazione è scorrevole e mi è molto piaciuto il linguaggio utilizzato, verosimile a quello dell’epoca, ma ovviamente reso in modo tale da essere comprensibile per chi legge.

I personaggi sono tutti ben caratterizzati e perfettamente calati nel contesto storico narrato. Don Tomasso è una figura interessante,  per volere familiare è diventato prete accondiscendendo a questa decisione, ha un carattere sanguigno, irascibile, e dei segreti che lo tormentano profondamente. Nonostante ciò ha preso seriamente il suo ruolo e cerca di svolgerlo al meglio. A cotanta serietà, per dare brio e leggerezza, l’autrice gli  ha affiancato Gianandrea, un monello di strada dalla lingua lunga che vive di piccoli furti e che con le sue chiacchiere contribuirà non poco alla risoluzione dei due omicidi.

Tra gli altri i personaggi di don Lucio, un prete che è l’esatto opposto di don Tomasso, lussurioso, intrigante e interessato più ai beni materiali che a quelli spirituali o Antonia la bottonaia, un esempio di donna moderna, che vive del proprio lavoro, non ha un marito accanto ed è fiera di se stessa e di ciò che ha.

In una recente intervista fatta all’autrice da Hans Tuzzi le è stato chiesto se avremo il piacere di ritrovare don Tomasso, l’autrice ha risposto con un semplice vedremo, io da umile lettrice spero proprio di si. Sarei felice di ritrovare lui e Gianandrea in un’altra avventura investigativa.

Valeria

 

L’ultimo boia – Cinzia Tani

l'ultimo boia

Titolo: L’ultimo boia
Autrice: Cinzia Tani
Casa editrice: Vallecchi Firenze
Genere: Biografia romanzata
Data pubblicazione: 4 novembre 2021
Pagine: 310
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Ho avuto un’ambizione e l’ho perseguita, una forza mi ha convinto di essere stato mandato sulla Terra per svolgere questo lavoro come una missione e la stessa forza mi ha indicato quando smettere. Avevo un’ambizione, non l’ho più. Il desiderio è volato via. Io credo che nessuna delle centinaia di esecuzioni da me effettuate abbia mai agito da deterrente per un crimine. La pena capitale, a mio parere, non risolve nulla, soddisfa soltanto un desiderio primitivo di vendetta”.
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Queste parole sono state scritte da Albert Pierrepoint che fu il più famoso boia d’Europa. All’età di 11 anni scoprì per caso il lavoro segreto del padre e dello zio, un’attività che sia la madre e la zia di Albert sapevano, ma della quale non volevano conoscere alcun particolare. Dopo la morte del padre, lui e la madre si trovarono in ristrettezze economiche e Albert iniziò a svolgere dei lavori per aiutare la madre.
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Trovò lavoro in un negozio ed ebbe la prima idea di mandare una lettera alle istituzioni giudiziarie in cui chiedeva di poter svolgere l’attività di giustiziere. Non fu accettata e continuò a svolgere l’attività nel negozio dove era benvoluto dal proprietario. Intanto anche la sua vita proseguiva tra lavoro, famiglia e amicizie.
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Ricevette una seconda lettera in cui la sua candidatura a giustiziere venne accettata e così iniziò la sua carriera di boia. Nel corso degli anni venne chiamato a giustiziare persone non solo in Gran Bretagna, ma anche in vari paesi europei.
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In 25 anni di attività impiccò più di 500 persone, ma solo dopo aver giustiziato Ruth Ellis che uccise per gelosia il corridore automobilistico David Blakely, Pierrepoint iniziò a “vedere” la pena di morte in modo diverso e questa riflessione lo portò a dare le dimissioni dal suo ruolo divenendo un’abolizionista convinto.
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Ho iniziato questo romanzo un po’ titubante per il contenuto, avevo paura di leggere descrizioni particolareggiate delle esecuzioni e delle emozioni dei condannati, invece mi sono ricreduta subito perchè in questo romanzo non si indulge a una spettacolarizzazione della morte, ma si racconta semplicemente la vita di un uomo.
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L’autrice utilizza la prima persona, cosicchè è lo stesso Albert a raccontare la sua storia e lo fa in modo così chiaro che la narrazione si dipana con molta scorrevolezza. E’ stato piacevolissimo seguire Pierrepoint in alcuni dei casi in cui venne chiamato a giustiziare i colpevoli. Alcuni di questi casi tengono desta l’attenzione di chi legge come se fossero dei thriller. Come sempre la realtà supera la fantasia.
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Criminali di guerra, prostitute, serial killer, fu varia l’umanità che dovette giustiziare, in  particolare mi hanno colpita durante la lettura, la descrizione delle atrocità commesse dalle belve di Bergen-Belsen nei campi di concentramento tedeschi. Sono solo accennate le crudeltà commesse dai comandanti tedeschi, invece la narrazione si è soffermata su quelle perpetrate dalle donne e vi assicuro che non è stato facile leggere le descrizioni di questi atti disumani. Personalità disturbate, che provenivano da un tessuto sociale problematico che trovandosi in posizioni di potere credettero di agire secondo logiche di salvezza della razza.
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Anche nel caso dei serial killer ci troviamo di fronte a descrizioni di delitti non certamente delicati, quello che può essere interessante è comprendere i motivi che spinsero queste persone a diventare i mostri che furono.
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La narrazione risulta maggiormente efficace poichè l’autrice è riuscita a far conoscere il personaggio e a raccontarne la vita senza esprimere giudizi personali ed etici. Ha svolto molte ricerche leggendo biografie di Pierrepoint e del padre, oltre a numerosi casi criminali.
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Il tema centrale del romanzo è la pena di morte e quanto la si possa considerare valida come deterrente nei confronti del crimine. Concordo con il protagonista che la pena di morte non comporti una diminuzione degli omicidi. Sono convinta che chi commette un crimine, che sia premeditato o d’istinto non pensi alle conseguenze, credo che l’unico modo per combattere il male sia usare il linguaggio dell’amore e della comprensione dei motivi profondi che portano a queste estreme conseguenze.
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Si tratta di un tema delicato e complesso allo stesso tempo, sul quale in molti si sono espressi nel corso dei secoli, questo romanzo nel suo piccolo ha il merito di farci riflettere mentre ci racconta la vita di un uomo semplice.
A cura di Valeria
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Il conte di Racalmuto – Vito Catalano

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In questo romanzo l’autore, nipote di Sciascia, prende spunto da Le parrocchie di Regalpetra scritto dal nonno per raccontare la storia del conte Girolamo del Carretto che fu signore assoluto di Racalmuto nel 17° secolo. Un uomo spietato, assetato di ricchezze che spadroneggia su tutti e incute paura, tanto che tutti eseguono i suoi ordini soprattutto per il timore  che hanno nei confronti dei suoi sgherri che non hanno nessuna remora a compiere atti crudeli.

Chi lo tradisce viene ucciso dopo essere stato sottoposto a terribili torture, mentre le ragazze del popolo e le serve spesso sono soggette al suo piacere e non di rado vengono considerate alla stregua di un pagamento in natura da parte di chi non può pagare le tasse. E’ sposato con Beatrice, una donna affascinante e di belle maniere, che si sente prigioniera di un matrimonio infelice e che trova nel pittore Pietro d’Asaro un modo per “fuggire” da una realtà che la soffoca.

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D’Asaro è un dongiovanni e pur rendendosi conto del rischio che corre decide di  iniziare una relazione con la contessa. Per caso scoprirà un misfatto di uno degli sgherri del conte che userà come arma di ricatto per evitare di perdere la sua testa. Tra i servi del conte c’è Antonio di Vita, fidanzato con Nunzia, e quando gli occhi concupiscenti del conte si poseranno sulla ragazza, il terrore che possa attentare alla virtù della giovane lo porteranno a chiedere consiglio e aiuto a padre Evodio, Questi gli da il giusto consiglio che porterà all’uccisione del conte.

In alcuni momenti della lettura di questo romanzo ho trovato delle assonanze con i Promessi Sposi come, per esempio, quando gli sgherri del conte vanno da padre Evodio per riscuotere i soldi che aveva messo da parte per il restauro della chiesa, il tono intimidatorio ricorda i bravi che proibivano a don Abbondio di celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia.

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Come in un romanzo storico che si rispetti anche in questo c’è un giusto equilibrio tra la parte storica e la fantasia. Il racconto delle vicende è piuttosto avvincente, la trama ricorda un thriller per come è stata impostata, infatti gli avvenimenti si avvicendano in modo incalzante. I personaggi sono tutti ben descritti, ognuno di loro riesce a ritagliarsi uno spazio per emergere, anche i personaggi minori rimangono impressi.

Lo stile è scorrevole ed elegante al tempo stesso, un romanzo storico che pur ispirandosi a una storia realmente accaduta riesce a trovare una sua dimensione noir, un’opera viva in cui le “oscurita” sono le fondamenta su cui si poggiano le vicende.

Valeria