The whirlwind – Transatlantic

Transatlantic The Whirlwind album cover
 

Transatlantic The Whirlwind album cover

Piccolo antefatto, un mio amico appassionato di prog non più tardi di un paio di mesi fa m’invia uno stringatissimo sms che cita testuale:”ultimo Transatlantic strepitoso”.
Ringrazio per la mini recensione, lascio il messaggio in memoria pensando che magari tornerà utile in futuro.

Domenica scorsa decido di sfruttare la mia stagionatissima tessera di Feltrinelli e di fare acquisti usufruendo dello sconto del 20% sui cd valido in quel giorno.
Mi assicuro tra gli altri Live In Poland dei Genesis con Ray Wilson che si lancia in Carpet Crawlers (diciamola tutta mancava solo la sua di versione), The Geese And The Ghost di Phillips nonché l’ultimo Icon di Wetton e Downes (disco oggettivamente fra i più irrilevanti dell’ultimo quindicennio).
Poi scorgo lì abbandonato fra gli scaffali The Whirlwind dei Transatlantic, prezzo abbordabile (circa 17 euro con sconto annesso) durata del disco un po’ meno (78 minuti sigh!) ma mi rammento dell’sms e procedo all’acquisizione con fiducia.

Entrato in auto e corroborato dal fatto di essere comunque a non più di quindici minuti da casa prendo il coraggio a quattro mani e inserisco il cd nel lettore.
Le tracce, dimenticavo, sono dodici ma i numeri romani che le contraddistinguono mi portano pericolosamente a dedurre come forse si tratti di un’unica traccia suddivisa in sezioni della durata globale di appunto 78 minuti….insomma neppure La Corazzata Potemkin di fantozziana memoria!
Il titolo del pezzo iniziale è Ouverture (originalissima scelta va riconosciuto) e dura da solo nove minuti pur tuttavia mentre lo ascolto bofonchio tra me e me “però sti Transatlantic!”.
Apertura con un grido che più omaggio a Dark Side non potrebbe essere ma il brano suona e scorre che è un piacere, Roine Stolt pare ispirato e s‘incarica delle parti vocali, Portnoy accantona propositi espansionistici e si pone al servizio di una cifra stilistica prog melodica, il brano suona assai epico e quantomeno penso “è il caso che tolga il cd dal lettore e me lo ascolti in cuffia…1-0 per i Transatlantic.
Arrivo a casa e mi organizzo per un ascolto più appropriato, ricomincio ovviamente da capo e non posso che confermare le prime impressioni sulla traccia introduttiva.
In The Wind Blew Them All Way Morse recupera il ruolo di prima voce, l’intro è stupendo (un po’ Gentle Giant) ma è il primo vero solo di Roine Stolt a confermare che la melodia in questo disco regnerà sovrana e siccome l’appetito viene mangiando…
L’apertura di On The Prow è una prima divagazione jazz ma è soprattutto Trevawas a farla da padrone per due terzi del brano tenendolo tutto sommato a galla.
In A Man Can Feel Roine Stolt riprende, per così dire, le redini vocali.
Il brano è letteralmente intriso di ammiccamenti ai Genesis a partire da un assolo chitarristico del genere “Hackett non è passato invano”.
Trattandosi di un’unica traccia si fa un po’ fatica a districarsi nell’ascolto ma Out Of Night è un momento bellissimo, la parte cantata è un po’ alla Yes perché poi in fondo i Transatlantic in questo disco sembrano proprio voler non far torto a nessuno omaggiando tutti, stupendo il solo di Stolt in chiusura, un vero gioiello melodico.
La melodia imperversa e scende giù a cascate anche nella successiva Red Colored Glasses senza però mai scendere nel zuccheroso anche se è chiaro che chi è perennemente alla ricerca di sonorità “rivoluzionarie” deve fuggire il disco come la peste bubbonica.
Evermore è forse il pezzo strumentalmente più corale, piano e sezione ritmica sembrano palleggiare fra loro nella prima parte di un brano che poi evolve in un cantato ancora di stampo yessista che non guasta.
Set Us Free è un po’ controverso, caratterizzato secondo molte recensioni da uno spiccato sound anni 70 ma personalmente l’ho trovato, per così dire, molto Collinsiano.
In Lay Down Your Life si cambia decisamente registro, l’intro è decisamente potente, Portnoy sembra quasi voler dare una vigorosa sterzata e anche Morse nella parte vocale deve darsi una regolata di conseguenza…in realtà la melodia è solo momentaneamente messa da parte, siamo pronti dopo un abbastanza interlocutorio Pieces Of Heaven per un finale da antologia.
Is It Really Happening? È una meraviglia autentica con una prima parte melodica dominata dalle tastiere e da un cantato con reminescenze pinkfloydiane che prelude ad una seconda parte scandita da un Portnoy scatenato che suggella un finale al limite del metal.
La chiusura è degnissima, sicuramente il momento melodico più alto del disco, dall’apertura affidata ad un pianoforte struggente ai mirabili “solo” di Roine Stolt.
Chiaramente è difficile fare graduatorie di singoli brani in un’opera di straordinaria compattezza con un riff iniziale che viene comunque richiamato più volte alla maniera delle classicissime suite degli anni 70 (non a caso il titolo del brano conclusivo è Dancing With Eternal Grace/Whirlwind Reprise) ma questa pezzo è destinato a rifulgere di luce propria nella discografia dei Transatlantic ben al di là dello specifico Whirlwind.
In conclusione un disco a parer mio significativo, non aggiunge ovviamente nulla al prog in generale ma moltissimo (ben oltre il fatto numerico) alla discografia dei Transatlantic che forse adesso davvero possono iniziare a considerarsi una band e non più un supergruppo…la differenza fra le due cose magari può sembrare non esserci ma è sostanziale…almeno a mio parere.

MASSY

The whirlwind – Transatlanticultima modifica: 2010-04-23T23:13:53+02:00da fval329
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