Camera con vista – Edward Morgan Forster

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“Prendete la vita con leggerezza” diceva Italo Calvino, “che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore“… e quelle volte in cui la leggerezza s’incontra con l’eleganza e con l’intelligenza, i risultati che si ottengono non possono che essere eccellenti!
Camera con vista ne è un felicissimo esempio.

Scritto nel 1908 e sottoposto a continue revisioni, il romanzo fu definito dal suo autore come “il più simpatico” tra i suoi scritti, ed è veramente difficile dargli torto.
Camera con vista si basa su elementi semplicissimi ma assolutamente efficaci: un’ingenua e convenzionale ragazza del Surrey in viaggio con la matura cugina nubile, un soggiorno nella suggestiva città di Firenze, ed una pensione con una camera con vista su San Miniato… O meglio, questo è ciò che la protagonsita, Lucy Honeychurch, vorrebbe. Purtroppo, però, la stanza che le viene assegnata non si affaccia sul panorama fiorentino.
Il grave inconveniente, fortunatamente, viene risolto dal tempestivo intervento di Mr Emerson e di suo figlio George: due turisti inglesi spontanei e anticonformisti, che disdegnando l’importanza dell’etichetta, non vedono niente di male nell’offrire alle due signore di scambiare le loro stanze. L’offerta è sconveniente, ma spinta da un ecclesiastico britannico in vacanza a Firenze, Mr Beebe, anche l’intransigente Charlotte si convince ad accettare.
Ahimè, i problemi sono solo all’inizio, e dopo che le peggiori paure di Charlotte si concretizzano assumendo le forme di un vergognoso bacio sulle gote, la  buona chaperone, per evitare ulteriori complicazioni, porta la cugina lontano dal luogo del misfatto: a Roma, dove Lucy potrà finalmente godere della compagnia ben più adatta dell’aristocratica signora Vyse e di suo figlio Cecil, un giovane gentiluomo, tipicamente inglese e terribilmente snob, dagli interessi intellettuali e le incrollabili convinzioni puritane.
Ma, a dispetto di Charlotte, l’esperienza fiorentina ha lasciato un segno indelebile nel cuore di Lucy, e quella vista su Firenze, si è trasformata in un varco aperto nell’animo della ragazza stessa.
E così, quando, qualche mese dopo, i pericolosi “fantasmi fiorentini” tornano a far capolino sul cammino di Lucy, la giovane, ormai fidanzata col suo rispettabile Cecil, e perfettamente reintegrata nella buona società inglese, si trova nuovamente preda delle inquietudini e dei dubbi e, soprattutto, si vede obbligata a dar loro una risposta.

Lo ammetto: ero partita alquanto prevenuta: con Forster avevo un conto in sospeso da quando, diversi anni fa, lessi Casa Howard restandone estremamente scontenta, ed ero quindi restia ad affrontare un’altra sua opera… Ebbene, mi sono dovuta proprio ricredere!
Si tratta di un romanzo vivace, ironico, intelligente e deliziosamente romantico.
Forster esamina e raffronta due realtà molto diverse: l’Inghilterra seriosa e perbenista e l’Italia più libera, aperta e spontanea. Nonostante gli italiani vengano dipinti secondo i tipici luoghi comuni con cui sono visti dagli inglesi, non c’è dubbio che a dare (volutamente) l’immagine più negativa siano proprio questi ultimi.

Stupendi i personaggi: si va dai più caricaturali e umoristici, ai più originali e complessi, e il ritratto tracciato dall’autore è veramente ineccepibile.
la mia simpatia però, è tutta per Lucy: una protagonista meravigliosa e dalle mille sfaccettature. Lucy è appassionata, intelligente, di buon cuore, eppure terribilmente inconsapevole di sè stessa e dei propri sentimenti. C’è molta ingenuità in lei, moltissime sfumature, e nonostante il suo atteggiamento capriccioso, i suoi colpi di testa e la sua cieca ostinazione, è impossibile non volerle bene.
Camera con vista è innanzitutto la sua storia, e infatti lo si può certamente considerare, a tutti gli effetti, come un autentico romanzo di formazione; il viaggio di Lucy a Firenze, infatti, non è che il pretesto per narrare qualcosa di ben più significativo: il viaggio dentro sè stessa di una ragazza inesperta, una ragazza che a Firenze, prima ancora che il sole e il Rinascimento, troverà la propria strada.
Un altro personaggio assolutamente adorabile, a mio avviso, è George Emerson: un ragazzo semplice e per nulla preoccupato dell’etichetta (non si vergogna di dire a una signora che suo padre non può riceverla perché sta facendo il bagno… Scandalo!! ), ma nello stesso tempo terribilmente imbranato. Nonostante sia cresciuto con un padre agnostico, George, è perennemente alla ricerca del senso della vita, ama la filosofia, ed ha molte debolezze, che non teme di mostrare, insieme ad una finissima intelligenza celata dalla timidezza.

Insomma, il romanzo si legge davvero tutto d’un fiato: lo stile è elegante e scorrevole, i dialoghi brillanti e mai banali, e la trama, benchè semplice, e forse un po’prevedibile, non annoia mai e cattura il lettore.
Nonostante la leggerezza del racconto, inoltre, Forster non manca di toccare tematiche rilevanti e controverse, come la parità tra uomo e donna, il valore dell’onestà in tutti i suoi aspetti e, non ultima, l’importanza del corpo umano e del lato fisico dell’amore.
Che dire? Ho letteralmente adorato questo libro! Ho trovato ammirevole la penna di Forster e la sua capacità di creare, su basi semplicissime, un romanzo così godibile, solare e lieve, e nello stesso tempo profondamente intelligente e ricco di significati.
Inoltre, devo ammetterlo, mi è piaciuta moltissimo la storia d’amore: tenera, fresca, delicatissima, e nel contempo venata di una sottile sensualità mai esplicitata, eppure perfettamente percettibile in tutto il racconto.

Insomma, un libro davvero bello, un autentico gioiellino, ed una lettura veramente divertente e piacevolissima.
In una parola: straconsigliato!

L’aiuto – Kathryn Stockett

 

L' aiuto


Trama

È l’estate del 1962 quando Eugenia “Skeeter” Phelan torna a vivere in famiglia a Jackson, in Mississippi, dopo aver frequentato l’università lontano da casa. Per sua madre, però, il fatto che si sia laureata conta ben poco: l’unica cosa che vuole per la figlia è un buon matrimonio. Ma Skeeter è molto diversa dalle sue amiche di un tempo e sogna in segreto di diventare scrittrice. L’unica persona che potrebbe comprenderla è l’amatissima Constantine, la governante che l’ha cresciuta, ma la donna sembra svanita nel nulla. Come Constantine, anche Aibileen è una domestica di colore. Saggia e materna, ha un candore e una pulizia interiore che abbagliano: per un tozzo di pane ha allevato amorevolmente uno dopo l’altro diciassette bambini bianchi. Ma il destino è stato crudele con lei, portandole via il suo unico figlio, morto in un incidente sul lavoro tra l’indifferenza generale. Minny è la sua migliore amica. Bassa, grassa, con un marito violento e una piccola tribù di figli, è con ogni probabilità la donna più sfacciata e insolente di tutto il Mississippi. Cuoca straordinaria, non sa però tenere a freno la lingua e viene licenziata di continuo per le sue intemperanze, fino a quando è assunta da una signora nuova del posto, che per la sua bellezza vistosa e le origini modeste è messa al bando dalla buona società bianca. Skeeter, Aibileen e Minny si ritrovano a lavorare segretamente a un progetto comune che le esporrà a gravi rischi.

Giudizio

…you’ll sink like a stone

Fot the times they are a-changin’

(Bob Dylan)

 

I tempi che stanno cambiando, verso della celeberrima canzone di Bob Dylan è indicativa del periodo storico in cui è ambientato il romanzo. (Martin Luther King marcia su Washington con duecentocinquantamila persone per l’integrazione razzial pronunciando il discorso passato alla storia grazie a “I have a dream”).

Siamo nel Mississippi nell’estate torrida e umida del 1962 e nella città di Jackson nonostante la schaività sia stata abolita sulla carta, ancora la popolazione nera è trattata come se lo fosse.

Le tre protagoniste indimenticabili, riconoscibili per il loro coraggio sono unite da un unico desiderio: essere libere. I loro nomi sono: Aibileen, Minny, Skeeter.

Aibileen e Minny sono nere, Skeeter è bianca. La loro unione che nasce dal cuore rappresenta l’unione di due realtà che avevano sempre viaggiato su binari paralleli perché bianchi o neri, gli uomini sono uomini, le donne sono donne e i bambini sono bambini.

Raccontare la verità è uno dei temi principali del romanzo, la società descritta pur essendo consapevole della discriminazione attuata nei confronti dei neri, preferisce mantenere in piedi una facciata di comodo facendo finta che il problema non esista. E’ proprio questa “verità” quella  che Aibileen, Minny e Skeeter racconteranno nel loro libro intitolato appunto L’aiuto.

Scopriremo le tre donne nella loro quotidianità, conosceremo i loro problemi e ci renderemo conto che tra le tre s’instaurerà una forte solidarietà che le renderà più sicure e unite nonostante la paura delle conseguenze che la verità scritta sul libro potrà far scaturire.

La bianca Skeeter ha come obiettivo della propria vita di diventare una scrittrice, in contrasto con quanto vorrebbe la madre che spera di vederla presto accasata.

Aibileen, donna di servizio, ha vissuto l’esperienza dolorosa della perdita di un figlio e ha cresciuto diciassette bambini bianchi, Minny ha sempre invece il vizio di dire ciò che pensa e per amore dei figli sopporta un marito violento e ubriacone.

Queste tre donna sconvolgeranno Jackson con il loro libro, a loro si uniranno altre donne per raccontare cosa significhi essere donne di servizio di famiglie di bianchi nel Mississippi. Racconteranno di come lascino le  loro famiglie per prendersi cura di quelle dei bianchi e dei trattamenti ingiusti che subiscono nella maggior parte dei casi, in poche potranno raccontare la riconoscenza e il rapporto speciale che si è instaurato con la padrona.

I temi della paura, del coraggio e della verità sono espressi con uno stile coinvolgente. La narrazione procede in modo spedito e ci si sente immersi nel clima caldo di Jackson arrivando a vivere tutte le emozioni descritte e sentendosi così avvinti da non voler staccarsi dalle pagine.

La decisione di scrivere in prima persona gli avvenimenti coinvolge il lettore e pur essendo stata la storia narrata dalle tre protagonista, ciò non confonde il lettore e non gli fa perdere la cognizione di chi sta narrando la storia. Attraverso le tre donne il lettore si troverà nella cucina di Aibileen o con Minny nella casa di Miss Celia o cono Skeeter alle prese con la madre.

Il finale sfumato e indefinito vede le tre donne di fronte a un cambiamento della propria vita ma non sapremo mai cosa realmente è accaduto. Potremo solo sopperire con la fantasia.

Bellissimo.

 

La faglia- Massimo Miro

La faglia

 

Trama:

Goffredo Mezzasalma è un cinquantenne affermato. Ingegnere, vive a Milano, ha una moglie, una figlia, dirige la fabbrica del suocero che vigila sui suoi tentativi di evasioni extraconiugali. Trent’anni fa è arrivato da Torino, con una fuga seguita da rientri a casa sempre frettolosi, per visite in famiglia nel vecchio palazzone popolare, con orrore da parte della consorte snob. Il vero ritorno è quello che Goffredo fa oggi, richiamato dal risveglio improvviso di Jumbo, l’amico in coma dal lontano 1978 a causa di una misteriosa aggressione. Jumbo che per prima cosa ha chiesto di vedere Goffredo Mezzasalma, alias Gomez nelle comuni scorribande metropolitane di fine anni Settanta. Il viaggio e il pensiero di riabbracciare l’amico tornato alla vita dopo 32 anni costringono Goffredo/Gomez alla resa dei conti con un passato pazientemente messo in sordina nei ricordi, con una storia rimossa che si snoda nei giorni e nelle notti di un gruppo di ragazzi sempre al limite dell’illegalità, fra furti, risse e scippi compiuti in un territorio che va dalle estremità suburbane al centro della città storica. Due dimensioni collegate, e al tempo stesso divise, da una strada ferita con un taglio profondo, ostile a ogni tentativo di riparazione: la Faglia. Nei sotterranei di quella storia rimossa è chiusa l’impresa eclatante tentata dalla sgangherata banda: prelevare Aldo Moro da un covo delle Brigate Rosse, e sottrarlo così al suo tragico destino.

Giudizio:

Lettura affascinante per chi come me negli anni 70 era adolescente e ricorda molto del costume dell’epoca. La narrazione che ricorda il passato come nel caso del protagonista di questo romanzo è la parte migliore, per alcuni versi mi ha fatto ripensare a Nè qui nè altrove di Carofiglio, con la sola differenza della città in cui è ambientata. Le sensazioni e le emozioni dei protagonisti di entrambi i romanzi però sono le stesse e io ho partecipato emotivamente ai loro pensieri e ricordi. Nel complesso un buon romanzo d’esordio, interessante proprio per l’ambientazione e per l’aver scelto il rapimento di Moro come espediente narrativo che rende più coinvolgente la storia. 


Intervista a Massimo Miro


1) Facendoti i miei complimenti per il romanzo interessante e originale, sono curiosa di sapere se la scelta di utilizzare il sequestro di Aldo Moro come espediente narrativo, è stato pianificato sin da prima della stesura o se invece si è presentato durante la stessa.

Prima di tutto ti ringrazio dei complimenti, mi fanno molto piacere. La scelta del sequestro Moro è stata un punto di partenza della storia, forse addirittura il punto. Avevo già deciso di ambientare la storia in un non luogo, ovvero, un luogo immaginario che evocasse una zona a nord di Torino, ma che non esistesse nella realtà topografica. Questo per avere più libertà nella narrazione. Allora per compensare la mancanza del luogo fisico ho voluto ambientare i fatti un periodo ben preciso, che tutti noi abbiamo ben definito come luogo del nostro passato, individuale e collettivo. Come se l’anima avesse una geografia, fatta di luoghi in cui ci ritroviamo come eravamo, quasi intatti, come se il tempo non fosse passato, come se fossimo ancora lì, in quei tempi inquietanti, cupi, ma comunque almeno personalmente, incredibilmente affascinanti ed evocativi. Tutti ci ricordiamo cosa stavamo facendo il giorno in cui hanno rapito Aldo Moro, il giorno in cui lo hanno ritrovato in Via Caetani. In una recensione recente del libro, Aldo Novellini ha voluto tentare un paragone, secondo me interessante, tra l’attentato a Kennedy e il sequestro Moro, cogliendo l’analogia tra i due avvenimenti, per quanto riguarda l’impatto emotivo sulla coscienza collettiva.

 

2) Gli anni 70 per chi come me li ha vissuti da adolescente, hanno il fascino e il profumo della giovinezza. Cosa ti ha spinto ad ambientare il romanzo proprio in quel periodo?

Come dicevo prima gli anni ’70 mi hanno sempre affascinato. Non solo perché ha avuto inizio la mia adolescenza, ma perché visti da lontano, guardando vecchie foto o vecchi filmati, leggendo articoli di giornale, mi colpisce sempre l’energia delle folle, lo spirito di rivendicazione, di protesta. La consapevolezza e la paura che il mondo andasse nella direzione sbagliata, verso una società profondamente ingiusta. Purtroppo le cose sono andate proprio così, e non si dice mai abbastanza che i movimenti studenteschi, i movimenti operai, al di là delle forme di lotta, al di là delle modalità con le quali esprimevano il loro dissenso, avevano profondamente ragione. La loro non era semplicemente diffidenza o paura, la loro era analisi lucidissima di come si stava trasformando la società, fino ad arrivare a quella attuale. Tengo però a precisare che il romanzo rimane sempre al di fuori di questi temi sociali. I personaggi rimangono sempre ai margini, perché ho scelto di parlare di ragazzi semplici, disimpegnati. Loro non avevano gli strumenti per capire cosa stava succedendo, a Torino come in molte altre città d’Italia e d’Europa. Loro abitavano in un quartiere operaio, ma disprezzavano chi lavorava duro, genitori compresi. Loro cercavano una scorciatoia per fare soldi, rapinavano, scippavano, rifiutavano il confronto con la società, illudendosi tragicamente di poter fare a meno di quel confronto. E’ un atteggiamento sociale che mi spaventa molto.

Però, allo stesso tempo i miei personaggi cercano di passare alla storia, con un grande atto di eroismo civico che sa di desiderio di riscatto: salvare Aldo Moro dalla sua prigionia.

 

3) La faglia è un romanzo sull’amicizia che legava un gruppo di ragazzi e che sopravvive nel racconto del protagonista, il quale non esita ad abbandonare moglie e figlia per inseguire i suoi ricordi. Che ruolo investono nella tua vita i ricordi e l’amicizia?

Si, in realtà Gomez parte per Torino e ha in mente solo di rivedere il suo amico uscito dal coma dopo tanti anni. Il suo è un viaggio di ritorno, non è una fuga. Che poi anche la fuga, può essere un atto in qualche modo eroico. E’ un modo coraggioso per illuminare un contrasto, che a volte può essere insopportabile, insanabile. E’ una rottura che impone un confronto, e penso che sia meno vile fuggire, che resistere tutta la vita alla tentazione di farlo. I ricordi, nel caso di Gomez e del romanzo hanno una funzione narrativa. Il tempo narrativo si svolge nell’arco di un giorno. L’espediente, il motore della storia è stato quello di mettere a confronto due giorni della vita del protagonista. Uno, al giorno d’oggi, quello dentro al quale si svolgono le azioni, il viaggio verso Torino. L’altro, un tragico giorno del 1978 che aveva per sempre cambiato la sua vita, e quella dei suoi amici. Un giorno, quello del 1978, i quali avvenimenti si scoprono lentamente, procedendo con la lettura. Quello che mi è piaciuto fare, scrivendo la storia, è stato giocare con l’energia di questi giorni così importanti nella storia di Gomez, avvicinandoli, allontanandoli, giocando un po’ come si fa con le calamite e con la loro polarità, sentendo tra le dita la forza di repulsione o di attrazione.

Nella mia vita personale i ricordi hanno un ruolo importante, ovviamente, ma preferisco guardare sempre avanti. Immaginare che ci saranno ricordi che devo ancora vivere.

 

4) Ogni autore trasfonde qualcosa di personale e di autobiografico nelle sue opere e personaggi. Cosa c’è di personale nel tuo romanzo?

Questa domanda me l’aspettavo! Partendo dal presupposto che tutto quello che si scrive, si pensa, si dice, si cucina, si disegna, è in qualche modo autobiografico perché ci appartiene, non c’è niente di personale in quello che ho scritto, niente di vissuto. Nessun personaggio, nessun fatto. Recentemente si parlava proprio di questo al festival Figiurà di Sassari, con Emiliano Longobardi e due autori, Alessandro Stellino e Antonio Bachis. Alla fine non è che siamo venuti a capo di niente, ma sono venute fuori posizioni interessanti. La mia è stata una presa di distanza anche netta del genere autobiografico, almeno nel romanzo, e a meno di piccoli riferimenti non strutturali. Personalmente non sono attratto dai romanzi basati sulle storie vere. Riesco ad immedesimarmi solo se mi immergo nella pura invenzione, e questo vale a maggior ragione per la scrittura. Penso che creare verosimiglianza sia di gran lunga più stimolante che testimoniare, o raccontare la verità.

 

5) Nel romanzo ci sono vari riferimenti musicali più o meno recenti. Dalle note autobiografiche sappiamo che lavori nel campo:

a – Quanto è importante la musica nella tua vita?

Tantissimo. La musica è la mia forma di espressione più istintiva, penso che ognuno di noi ne abbia una. In ogni istante della nostra vita proviamo sensazioni, emozioni, viviamo stati d’animo. La maggior parte di questi momenti li dimentichiamo, o passano inosservati, mentre alcuni di questi sono così forti da imporsi, vogliono prendere corpo, e per corpo intendo dire melodia, parola, colore, dimensione, qualunque sia la forma d’arte. L’atto creativo è sostanzialmente un momento di grande ingenuità, un momento in cui il raziocinio è sospeso, e con esso il limite che l’individuo impone all’espressione.

Il libro ha anche una colonna sonora virtuale, suonata da 28 bands di Torino, comprendendo storiche fornazioni dei centri sociali degli anni ottanta a giovanissimi artisti emergenti. E’ stata una bella esperienza mettere insieme tutto il materiale raccolto. E’ venuto fuori qualcosa al di là della storia. E’ stato come avere piazzato un microfono nel centro di Torino, e averne registrato la voce, i suoni. Si può ascoltare il materiale in streaming sul sito del libro. www.massimomiro.it

 b – Quali gruppi prediligi in particolare?

Musicalmente sono un onnivoro, molto più che per ogni altra forma d’arte. Ascolto dalla musica classica all’ultima garage band indipendente belga. Preferisco la coerenza, penso di riuscire a distinguere se un album è stato scritto e registrato con sincerità e passione. E’ per questo che difficilmente seguo una band o un artista dopo il terzo, quarto album. Penso che tranne pochi sparuti casi eccezionali, non abbiano più niente da dire, che abbiano esaurito l’energia. Percepisco la routine, anche nella lettura dei testi, e questo mi da fastidio.

 6) Tornando alla letteratura quali sono i tuoi autori preferiti e i generi che prediligi?

Sono nato e cresciuto con Jules Verne e Emilio Salgari. Da adolescente ho letto molta poesia, per passare ben presto a Camus, Kafka. Poi sono stato rapito dalla letteratura argentina. Borges, ma soprattutto Cortàzar, un vero genio della scrittura. Un talento inimitabile. Per quanto riguarda la letteratura contemporanea, i nomi degli autori sono tantissimi, e di questi molti gli italiani, grazie ad una attenzione particolare, purtroppo tardiva e temo passeggera, per gli autori esordienti.

Quando leggo un libro mi piace pensare che questo non appartenga a nessun genere, che non abbia nessun vincolo di canone o di forma. Che non abbia limiti per sorprendermi, che possa usare tutti quegli strumenti, espedienti, strutture, che la letteratura di genere in qualche modo contiene sempre.

 

7) L’ultima ormai celeberrima domanda: 5 libri e dischi che porteresti con te su un’isola deserta.

Libri:

Storie di cronopios e di fama – Julio Cortàzar

Saltatempo – Stefano Benni

In culo al mondo – Lobo Antunes

Un giorno di fuoco – Beppe Fenoglio

Il Milione – Marco Polo

 

 

Dischi:

Unknown Pleasures – Joy Division

An Unforgettable fire – U2

OK Computer – Radiohead

The White Album – The Beatles

Camera a sud – Vinicio Capossela

Sandinista – The Clash

At Last – Etta James

Three imaginary boys – The Cure

Sushi & Coca – Marta sui tubi

 Ah… scusa. Avevi detto solo 5 vero? Ormai li ho messi in valigia….

 Ringraziandoti per cortesia dimostrata ti rinnovo gli auguri per il romanzo e ti saluto insieme ai miei lettori.

 Grazie a te per lo spazio che mi hai dedicato. Un saluto a te e a tutti i tuoi lettori. Buona vita!