La faglia- Massimo Miro

La faglia

 

Trama:

Goffredo Mezzasalma è un cinquantenne affermato. Ingegnere, vive a Milano, ha una moglie, una figlia, dirige la fabbrica del suocero che vigila sui suoi tentativi di evasioni extraconiugali. Trent’anni fa è arrivato da Torino, con una fuga seguita da rientri a casa sempre frettolosi, per visite in famiglia nel vecchio palazzone popolare, con orrore da parte della consorte snob. Il vero ritorno è quello che Goffredo fa oggi, richiamato dal risveglio improvviso di Jumbo, l’amico in coma dal lontano 1978 a causa di una misteriosa aggressione. Jumbo che per prima cosa ha chiesto di vedere Goffredo Mezzasalma, alias Gomez nelle comuni scorribande metropolitane di fine anni Settanta. Il viaggio e il pensiero di riabbracciare l’amico tornato alla vita dopo 32 anni costringono Goffredo/Gomez alla resa dei conti con un passato pazientemente messo in sordina nei ricordi, con una storia rimossa che si snoda nei giorni e nelle notti di un gruppo di ragazzi sempre al limite dell’illegalità, fra furti, risse e scippi compiuti in un territorio che va dalle estremità suburbane al centro della città storica. Due dimensioni collegate, e al tempo stesso divise, da una strada ferita con un taglio profondo, ostile a ogni tentativo di riparazione: la Faglia. Nei sotterranei di quella storia rimossa è chiusa l’impresa eclatante tentata dalla sgangherata banda: prelevare Aldo Moro da un covo delle Brigate Rosse, e sottrarlo così al suo tragico destino.

Giudizio:

Lettura affascinante per chi come me negli anni 70 era adolescente e ricorda molto del costume dell’epoca. La narrazione che ricorda il passato come nel caso del protagonista di questo romanzo è la parte migliore, per alcuni versi mi ha fatto ripensare a Nè qui nè altrove di Carofiglio, con la sola differenza della città in cui è ambientata. Le sensazioni e le emozioni dei protagonisti di entrambi i romanzi però sono le stesse e io ho partecipato emotivamente ai loro pensieri e ricordi. Nel complesso un buon romanzo d’esordio, interessante proprio per l’ambientazione e per l’aver scelto il rapimento di Moro come espediente narrativo che rende più coinvolgente la storia. 


Intervista a Massimo Miro


1) Facendoti i miei complimenti per il romanzo interessante e originale, sono curiosa di sapere se la scelta di utilizzare il sequestro di Aldo Moro come espediente narrativo, è stato pianificato sin da prima della stesura o se invece si è presentato durante la stessa.

Prima di tutto ti ringrazio dei complimenti, mi fanno molto piacere. La scelta del sequestro Moro è stata un punto di partenza della storia, forse addirittura il punto. Avevo già deciso di ambientare la storia in un non luogo, ovvero, un luogo immaginario che evocasse una zona a nord di Torino, ma che non esistesse nella realtà topografica. Questo per avere più libertà nella narrazione. Allora per compensare la mancanza del luogo fisico ho voluto ambientare i fatti un periodo ben preciso, che tutti noi abbiamo ben definito come luogo del nostro passato, individuale e collettivo. Come se l’anima avesse una geografia, fatta di luoghi in cui ci ritroviamo come eravamo, quasi intatti, come se il tempo non fosse passato, come se fossimo ancora lì, in quei tempi inquietanti, cupi, ma comunque almeno personalmente, incredibilmente affascinanti ed evocativi. Tutti ci ricordiamo cosa stavamo facendo il giorno in cui hanno rapito Aldo Moro, il giorno in cui lo hanno ritrovato in Via Caetani. In una recensione recente del libro, Aldo Novellini ha voluto tentare un paragone, secondo me interessante, tra l’attentato a Kennedy e il sequestro Moro, cogliendo l’analogia tra i due avvenimenti, per quanto riguarda l’impatto emotivo sulla coscienza collettiva.

 

2) Gli anni 70 per chi come me li ha vissuti da adolescente, hanno il fascino e il profumo della giovinezza. Cosa ti ha spinto ad ambientare il romanzo proprio in quel periodo?

Come dicevo prima gli anni ’70 mi hanno sempre affascinato. Non solo perché ha avuto inizio la mia adolescenza, ma perché visti da lontano, guardando vecchie foto o vecchi filmati, leggendo articoli di giornale, mi colpisce sempre l’energia delle folle, lo spirito di rivendicazione, di protesta. La consapevolezza e la paura che il mondo andasse nella direzione sbagliata, verso una società profondamente ingiusta. Purtroppo le cose sono andate proprio così, e non si dice mai abbastanza che i movimenti studenteschi, i movimenti operai, al di là delle forme di lotta, al di là delle modalità con le quali esprimevano il loro dissenso, avevano profondamente ragione. La loro non era semplicemente diffidenza o paura, la loro era analisi lucidissima di come si stava trasformando la società, fino ad arrivare a quella attuale. Tengo però a precisare che il romanzo rimane sempre al di fuori di questi temi sociali. I personaggi rimangono sempre ai margini, perché ho scelto di parlare di ragazzi semplici, disimpegnati. Loro non avevano gli strumenti per capire cosa stava succedendo, a Torino come in molte altre città d’Italia e d’Europa. Loro abitavano in un quartiere operaio, ma disprezzavano chi lavorava duro, genitori compresi. Loro cercavano una scorciatoia per fare soldi, rapinavano, scippavano, rifiutavano il confronto con la società, illudendosi tragicamente di poter fare a meno di quel confronto. E’ un atteggiamento sociale che mi spaventa molto.

Però, allo stesso tempo i miei personaggi cercano di passare alla storia, con un grande atto di eroismo civico che sa di desiderio di riscatto: salvare Aldo Moro dalla sua prigionia.

 

3) La faglia è un romanzo sull’amicizia che legava un gruppo di ragazzi e che sopravvive nel racconto del protagonista, il quale non esita ad abbandonare moglie e figlia per inseguire i suoi ricordi. Che ruolo investono nella tua vita i ricordi e l’amicizia?

Si, in realtà Gomez parte per Torino e ha in mente solo di rivedere il suo amico uscito dal coma dopo tanti anni. Il suo è un viaggio di ritorno, non è una fuga. Che poi anche la fuga, può essere un atto in qualche modo eroico. E’ un modo coraggioso per illuminare un contrasto, che a volte può essere insopportabile, insanabile. E’ una rottura che impone un confronto, e penso che sia meno vile fuggire, che resistere tutta la vita alla tentazione di farlo. I ricordi, nel caso di Gomez e del romanzo hanno una funzione narrativa. Il tempo narrativo si svolge nell’arco di un giorno. L’espediente, il motore della storia è stato quello di mettere a confronto due giorni della vita del protagonista. Uno, al giorno d’oggi, quello dentro al quale si svolgono le azioni, il viaggio verso Torino. L’altro, un tragico giorno del 1978 che aveva per sempre cambiato la sua vita, e quella dei suoi amici. Un giorno, quello del 1978, i quali avvenimenti si scoprono lentamente, procedendo con la lettura. Quello che mi è piaciuto fare, scrivendo la storia, è stato giocare con l’energia di questi giorni così importanti nella storia di Gomez, avvicinandoli, allontanandoli, giocando un po’ come si fa con le calamite e con la loro polarità, sentendo tra le dita la forza di repulsione o di attrazione.

Nella mia vita personale i ricordi hanno un ruolo importante, ovviamente, ma preferisco guardare sempre avanti. Immaginare che ci saranno ricordi che devo ancora vivere.

 

4) Ogni autore trasfonde qualcosa di personale e di autobiografico nelle sue opere e personaggi. Cosa c’è di personale nel tuo romanzo?

Questa domanda me l’aspettavo! Partendo dal presupposto che tutto quello che si scrive, si pensa, si dice, si cucina, si disegna, è in qualche modo autobiografico perché ci appartiene, non c’è niente di personale in quello che ho scritto, niente di vissuto. Nessun personaggio, nessun fatto. Recentemente si parlava proprio di questo al festival Figiurà di Sassari, con Emiliano Longobardi e due autori, Alessandro Stellino e Antonio Bachis. Alla fine non è che siamo venuti a capo di niente, ma sono venute fuori posizioni interessanti. La mia è stata una presa di distanza anche netta del genere autobiografico, almeno nel romanzo, e a meno di piccoli riferimenti non strutturali. Personalmente non sono attratto dai romanzi basati sulle storie vere. Riesco ad immedesimarmi solo se mi immergo nella pura invenzione, e questo vale a maggior ragione per la scrittura. Penso che creare verosimiglianza sia di gran lunga più stimolante che testimoniare, o raccontare la verità.

 

5) Nel romanzo ci sono vari riferimenti musicali più o meno recenti. Dalle note autobiografiche sappiamo che lavori nel campo:

a – Quanto è importante la musica nella tua vita?

Tantissimo. La musica è la mia forma di espressione più istintiva, penso che ognuno di noi ne abbia una. In ogni istante della nostra vita proviamo sensazioni, emozioni, viviamo stati d’animo. La maggior parte di questi momenti li dimentichiamo, o passano inosservati, mentre alcuni di questi sono così forti da imporsi, vogliono prendere corpo, e per corpo intendo dire melodia, parola, colore, dimensione, qualunque sia la forma d’arte. L’atto creativo è sostanzialmente un momento di grande ingenuità, un momento in cui il raziocinio è sospeso, e con esso il limite che l’individuo impone all’espressione.

Il libro ha anche una colonna sonora virtuale, suonata da 28 bands di Torino, comprendendo storiche fornazioni dei centri sociali degli anni ottanta a giovanissimi artisti emergenti. E’ stata una bella esperienza mettere insieme tutto il materiale raccolto. E’ venuto fuori qualcosa al di là della storia. E’ stato come avere piazzato un microfono nel centro di Torino, e averne registrato la voce, i suoni. Si può ascoltare il materiale in streaming sul sito del libro. www.massimomiro.it

 b – Quali gruppi prediligi in particolare?

Musicalmente sono un onnivoro, molto più che per ogni altra forma d’arte. Ascolto dalla musica classica all’ultima garage band indipendente belga. Preferisco la coerenza, penso di riuscire a distinguere se un album è stato scritto e registrato con sincerità e passione. E’ per questo che difficilmente seguo una band o un artista dopo il terzo, quarto album. Penso che tranne pochi sparuti casi eccezionali, non abbiano più niente da dire, che abbiano esaurito l’energia. Percepisco la routine, anche nella lettura dei testi, e questo mi da fastidio.

 6) Tornando alla letteratura quali sono i tuoi autori preferiti e i generi che prediligi?

Sono nato e cresciuto con Jules Verne e Emilio Salgari. Da adolescente ho letto molta poesia, per passare ben presto a Camus, Kafka. Poi sono stato rapito dalla letteratura argentina. Borges, ma soprattutto Cortàzar, un vero genio della scrittura. Un talento inimitabile. Per quanto riguarda la letteratura contemporanea, i nomi degli autori sono tantissimi, e di questi molti gli italiani, grazie ad una attenzione particolare, purtroppo tardiva e temo passeggera, per gli autori esordienti.

Quando leggo un libro mi piace pensare che questo non appartenga a nessun genere, che non abbia nessun vincolo di canone o di forma. Che non abbia limiti per sorprendermi, che possa usare tutti quegli strumenti, espedienti, strutture, che la letteratura di genere in qualche modo contiene sempre.

 

7) L’ultima ormai celeberrima domanda: 5 libri e dischi che porteresti con te su un’isola deserta.

Libri:

Storie di cronopios e di fama – Julio Cortàzar

Saltatempo – Stefano Benni

In culo al mondo – Lobo Antunes

Un giorno di fuoco – Beppe Fenoglio

Il Milione – Marco Polo

 

 

Dischi:

Unknown Pleasures – Joy Division

An Unforgettable fire – U2

OK Computer – Radiohead

The White Album – The Beatles

Camera a sud – Vinicio Capossela

Sandinista – The Clash

At Last – Etta James

Three imaginary boys – The Cure

Sushi & Coca – Marta sui tubi

 Ah… scusa. Avevi detto solo 5 vero? Ormai li ho messi in valigia….

 Ringraziandoti per cortesia dimostrata ti rinnovo gli auguri per il romanzo e ti saluto insieme ai miei lettori.

 Grazie a te per lo spazio che mi hai dedicato. Un saluto a te e a tutti i tuoi lettori. Buona vita!

 



La faglia- Massimo Miroultima modifica: 2012-09-05T23:50:00+02:00da fval329
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