L’arte di dirsi addio – Rebecca Connell

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Louise ha 23 anni e fin da ragazzina ha nutrito il desiderio di andare a fondo della perdita che ha segnato la sua infanzia e capire che cosa fosse davvero successo a sua madre, scomparsa in un incidente automobilistico quando lei era soltanto una bimba. La traccia che Louise ha è quella di un uomo, Nicholas, un professore universitario, con il quale la madre aveva avuto una impetuosa storia d’amore clandestina. Nicholas si rivela una persona del tutto inaspettata e a conoscenza di alcuni brandelli di storia dai quali tuttavia Louise intuirà parte della verità sulla madre, sulla natura ambigua dell’amore, e anche su se stessa.

Questo romanzo ha costituito una vera sorpresa. Ogni volta che lo guardavo in libreria, sembrava volesse dirmi di leggerlo. Per un po’ di tempo ho resistito, gli passavo vicino e lo prendevo in mano per poi riporlo di nuovo sul banco oppure lo evitavo accuratamente. Un bel giorno l’ho trovato sullo scaffale espositivo della biblioteca e in quel momento ho capito che il destino aveva deciso per me. Dovevo leggerlo!
Mi sono accostata quindi alla lettura un po’ titubante, si tratta di un’opera prima e l’argomento del tradimento è stato abbondantemente trattato nei romanzi contemporanei da avere il sospetto che potesse essere pieno di clichè del genere oltre che qualcosa di già scritto. Invece mi sono dovuta ricredere!
La narrazione che procede su due binari, il racconto di Louise e quello di Nicholas, è condotta molto gradevolmente. L’autrice riesce a raccontare le emozioni che scaturiscono dall’amore e quale sia il prezzo che si paga per il tradimento. La vicenda raccontata coinvolge il lettore sin dall’inizio proprio grazie al racconto di una passione amorosa che lascia storditi non solo i protagonisti del romanzo, ma anche i coloro che leggono le vicende.
Infedeltà, segreti, amori perduti e ritrovati, sono racchiusi in pensieri così intimi che non si riesce a non essere tentati dal volerne sapere di più macinando pagine su pagine per capire come quest’analisi lucida sul tradimento, verrà condotta dall’autrice e quale sarà il risultato finale.
Con stile teso, la Connell riesce a dar voce ai sentimenti e alle emozioni che scaturiscono con una buona capacità d’introspezione nei pensieri dei due narranti che riescono a farci vivere le proprie emozioni come fossero le nostre.
Avvertiamo bene il dolore profondo che vive Louise dal momento in cui scopre il tradimento della madre e come questo sentimento abbia condizionato la sua vita, mentre dall’altra parte viviamo sulla pelle l’amore di Nicholas, vissuto con trepidazione e attesa in un primo momento, per poi trasformarsi in una passione divorante capace di stravolgere la vita di più persone, grazie a una scoperta che non renderà nessuno felice ma sarà causa di rimpianti, amarezza, tensione e dolore.
Un bel romanzo, questo della Connell, che con il suo stile ci fa presumere che le premesse per futuri ottimi lavori non manchino.
Au revoir Rebecca, tifo per te!

Voto 9/10

La donna in bianco – Wilkie Collins

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Quale terribile segreto nasconde la misteriosa figura femminile che si aggira per le buie strade di Londra? Questo è solo il primo di una serie di intrighi, apparizioni e sparizioni, delitti e scambi di identità che compongono la trama de “La donna in bianco”. Nel 1860 Charles Dickens pubblicò il romanzo a puntate sulla sua rivista “All the Year Round”, suscitando uno straordinario interesse nel pubblico che seguì per un intero anno le vicende della sventurata Anne Catherick e quelle degli altri personaggi, descritti con impareggiabile abilità psicologica, come l’impavida Marian Halcombe, il coraggioso Walter Hartright e l’affascinante quanto ambiguo conte Fosco. È passato un secolo e mezzo e le cose non sono cambiate. Anche il lettore moderno più smaliziato non può che rimanere piacevolmente intrappolato negli ingranaggi di questo romanzo che ha segnato per sempre la tradizione del mistery, facendo guadagnare al suo autore l’attributo di “padre del poliziesco moderno”.

 

 

Ho conosciuto Collins attraverso il romanzo di Simmons, Drood, da me commentato qualche mese fa, in cui il protagonista è lo stesso Collins, voce narrante, amico e rivale di Dickens. Chi mi conosce sa che ad una simile esca non avrei potuto far altro se non abboccare e con tutto il mio entusiasmo; e non posso che concludere che ancora una volta sono stata presa felicemente all’amo!
Non conoscevo Collins fino a quel momento, ma è stato senz’altro un benevolo genio della lettura a metterlo sul mio cammino, perché questo romanzo mi ha davvero entusiasmata, rivelandosi come una delle mie letture più belle.
Stilisticamente parlando è un romanzo vittoriano fino al midollo, come scrivevo ieri nel mio diario, nella forma, nei dialoghi, nelle descrizioni di fatti, personaggi e convenzioni sociali; dal punto di vista dell’intreccio oserei dire che è di molto superiore alla capacità del Re del romanzo vittoriano, ovvero il mio adorato Dickens. L’espediente narrativo (una vicenda complessa fatta di bugie, intrighi e mezze verità) di ricostruire i fatti da voci narranti sempre diverse è veramente ben riuscito, e crea sicuramente una tensione narrativa che un unico narratore onnisciente non avrebbe potuto creare. Durante tutta la lettura mi sono sempre chiesta come si potesse vivere aspettando il prossimo numero di All the year round, la rivista, diretta da Dickens, su cui il romanzo era pubblicato a puntate! Davvero inconcepibile.
Qualche parola sui magnifici personaggi: se Walter e Laura sono caratterizzati come due tipici eroi da romanzo (lui integerrimo e innamorato, lei dolce, remissiva e un po’ insipida), al contrario Marian e il Conte Fosco sono due pilastri della narrativa di ogni tempo, anche la palma dell’originalità va senza dubbio al Conte Fosco, tipico italiano, da molti punti di vista, anche se è del tutto evidente, dalle pagine di questo romanzo, quanto Collins amasse l’Italia. Il Conte Fosco è, infatti, un malvagio veramente atipico. Anche i personaggi minori assumono una certa importanza ai fini della storia, e vengono trattati con rispetto dall’autore, e valorizzati anche quando occupano un posto veramente piccolo nell’economia della vicenda.
Insomma, ma che altro dire se non che sono rimasta piacevolmente colpita da Collins e che leggerò sicuramente altro di suo? Dicono generalmente che egli sia il fondatore del romanzo poliziesco, e questo è sicuramente vero, purché non gli si faccia il torto di considerarlo “solo” questo, cioè un romanzo d’etichetta; è invece vero che sono molti gli influssi che animano questo bel romanzo: romanzo gotico e romanzo, perché no, anche storico, thriller alla Poe, e molto altro. Davvero una bella scoperta! Consigliato.

Bobbi

Dio ha misurato il tuo regno – Miklòs Banffy

9788806198800g

 

Nell’Ungheria di inizio novecento le crisi politiche si succedono: l’equilibrio della monarchia austroungarica è sempre più precario, l’instabilità sta portando il Paese al collasso e l’aristocrazia, che fino ad allora ha retto i destini dello Stato, dimostra tutta la sua inettitudine. Attraverso gli occhi dei tre protagonisti – il giovane conte Bàlint Abàdy, che è appena tornato da una missione diplomatica all’estero per assumere un ruolo di alta responsabilità politica; suo cugino Làszló Gyeröffy, un artista promettente; e la sua amica Adrienne Miloth, una sposa infelice – il romanzo rivela al lettore gli avvenimenti politici e sociali che portarono alla caduta dell’Impero. Grandi battute di caccia, balli sontuosi, duelli, corse a cavallo, banchetti, fortune dilapidate al tavolo da gioco, sono lo sfondo di questo appassionante e profetico romanzo: il perfetto ritratto di una classe sociale che era in procinto di scomparire per sempre.

Ottocento settanta pagine per il primo volume di una trilogia pubblicata negli anni 30 e poi caduta nel dimenticatoio nel secondo dopoguerra, Dio ha misurato il tuo regno è un grande affresco sull’Ungheria e la Transilvania, nel particolare, agli inizi del 900.
La storia politica dell’Ungheria è trattata ampiamente nel corso del romanzo, il paese è diviso tra la dipendenza da Vienna e la sua autonomia. Un paese che si sta avviando alla decadenza dopo un passato di ricchezza e felicità.
Alle vicende storiche sono strettamente intrecciate le vicende familiari di nobili legati alle convenzioni sociali, all’onore, alla legalità.
L’amore è un sentimento negativo, doloroso, perché chi decide di farsene trasportare viene sconfitto come nel caso di Laszlo Gyeroffy. La storia d’amore di Laszlo è proprio la più evidente espressione di questa decadenza, incurante di tutto ciò che accade intorno a lui e pur essendo innamorato della cugina, butterà all’aria la sua felicità per il nulla rappresentato dal vizio del gioco.
Proprio in questi passatempi inutili si svolgerà la vita della nobiltà incurante di ciò che sta avvenendo nel paese e che avrà le sue ripercussioni anche sulla classe nobiliare.
Tessendo le fila di uno straordinario intreccio e muovendo nel modo giusto tutti i personaggi, Banffy ha creato un romanzo che ha il respiro e la grandezza di un classico. Si perché del classico ha le ampie descrizioni e la sapiente costruzione dei personaggi, maggiori o minori che siano, rappresentati al meglio dei loro comportamenti e nelle loro passioni spesso distruttive.
Un romanzo capace di introdurci in uno scorcio di storia europea a noi sconosciuta ma di grande interesse.
Si spera che Einaudi voglia pubblicare anche gli altri 2 capitoli della trilogia, per avere la visione completa dell’Ungheria moderna e poter salutare questa trilogia come uno dei capisaldi della letteratura ungherese contemporanea.

Voto 8, 5/10

Troppa umana speranza – Alessandro Mari

9788807018305g

 

 

Prima metà del diciannovesimo secolo. Sullo sfondo di un’Italia che non è ancora una nazione, quattro giovani si muovono alla ricerca di un mondo migliore: un orfano spronato dalla semplicità che è dei contadini e dei santi; una donna, sensi all’erta e intelligenza acuta, avviata a diventare una spia; un pittore di lascive signore aristocratiche che batte la strada nuova della fotografia; e il Generale Garibaldi visto con gli occhi innamorati della splendente, sensualissima Aninha.

Ho deciso di leggere Troppo umana speranza per ciò che è scritto nelle note di copertina, 4 righe che fanno comprendere che il romanzo non è l’ennesimo osanna patriottico sul Risorgimento, nonostante questo periodo faccia da sfondo alle vicende narrate, ma la storia di quattro persone comuni che si trovano inserite in un contesto storico in movimento.
Colombino, Leda, Lisander, Aninha e il comprimario Astolfo ( un mulo che prende parte efficacemente alla storia pur non essendo dotato di parola), sono nonostante l’età e le vicende personali, in grado di camminare da soli per il mondo, hanno la fiducia necessaria per poter decidere il loro cammino sulla strada della vita conoscendo gioie e dolori, vittorie e sconfitte ma nonostante ciò riusciranno a realizzare il proprio destino.
I loro desideri personali – un amore, la famiglia, la maternità, il lavoro – si congiungono a quegli ideali collettivi – la libertà, un futuro migliore, il combattere per qualcosa che si desidera fortemente – nell’aspirazione della conquista della felicità.

Tra gli elementi da prendere in considerazione nell’analisi complessiva c’è la capacità immaginifica di una scrittura bella nella sua forza narrativa, frutto di un grande lavoro stilistico perché Mari ha dovuto esprimersi alternando la lingua ai vari dialetti italiani creando un amalgama linguistico che ha una forte capacità di catturare l’attenzione del lettore. La scrittura è uno dei punti forti del romanzo e lo stesso Mari spiega come è avvenuto il processo stilistico nelle note storiche finali, note che si leggono con grande piacere proprio per la mancanza di formalità che in genere prevale in questo tipo di annotazioni.

Un romanzo questo fatto di molte storie che si intersecano, si sfiorano fino a confluire nella storia più grande. Storie fatte dalla forza dell’uomo, dal suo coraggio, dalla sua disperazione ma anche dalla speranza. Storie che coinvolgono uomini e animali, come il mulo Astolfo che commenta a modo suo le vicende che lo vedono protagonista insieme a Colombino.
Molte altre cose si potrebbero dire di questo bel romanzo di Mari, dove il piacere di raccontare storie si unisce a una scrittura giovane che con freschezza ha raccontato le vicende di quattro giovani comuni che grazie all’aiuto della Provvidenza, riusciranno a veder realizzati i propri sogni.

Voto 8/10