La morte corre sul fiume – Davis Grubb

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Durante la Grande Depressione, un poveraccio di nome Ben Harper, tenta di salvare la sua famiglia dalla miseria rubando 10,000 dollari alla banca. Il cassiere e il direttore della banca che lo conoscono bene, cercano di farlo desistere ma, Ben li colpisce con dei colpi di pistola e fugge con il malloppo. Fa in tempo a raggiungere casa sua e parlare con la moglie e i figli che viene raggiunto dalla polizia, e dopo un veloce processo, condannato a morte. I 10,000 dollari però sembrano spariti. Dove mai saranno? Se lo chiede la moglie che con quei soldi vorrebbe migliorare la situazione economica della famiglia e se lo chiede anche Harry Powell, detto il Predicatore, finito nella stessa cella di Ben. Il Predicatore che ha tatuate sulle mani le parole Love (amore) e hate (odio), cerca di convincere Ben a dirgli dov’è il nascondiglio, ma questi non cede e muore portando con sé il segreto. Gli unici a conoscere la verità sono John e Pearl, i figli di Ben Harper. Il Predicatore uscito di prigione decide di sedurre la vedova di Ben Harper spacciandosi per amico del marito scomparso…

Scrittore di talento, Davis Grubb viene inquadrato nella tradizione dell’American Gothic, un movimento letterario che ha visto la frequentazione di autori come William Faulkner, Flannery O’ Condor, William Gaddis, James Lee Burke, Joe Lansdale, genere letterario del quale La morte corre sul fiume è l’aspetto più sinistro.
Dramma gotico e affresco sociale si fondono in questo mirabile romanzo, descritti con stile asciutto, che rende perfettamente l’idea di un’America di provincia, dagli ampi spazi aperti e desolati, quel midwest in cui la luce è accecante e il buio nerissimo.
Nel romanzo si percepisce un’atmosfera di tensioni sotterranee in cui la paura di respirare, il senso di sfiducia e di perdita, la sensazione che le vite dei due bambini protagonisti sono distrutte creano una suspence che rende il lettore partecipe della disgrazia dei due bambini.
Harry Powell è l’incarnazione del Male, un lupo travestito da agnello, dal quale sfuggono i due bambini, con un viaggio-odissea in cui i continui colpi di scena e il crescendo della suspence porteranno all’invitabile finale nel quale l’odio dovrà vedersela con due bambini più forti e resistenti degli adulti.

 

VOTO 8,5/10

Ultima notte a Twisted River -John Irving

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Dominic Baciagalupo e suo figlio Daniel vivono a Twisted River, un piccolo villaggio di minatori. Dominic ha un “ristorante” dove i minatori vanno per consumare dei pasti caldi dopo il lavoro. Dominic è il cuoco ed è aiutato nel suo lavoro da una donna che è la compagna del poliziotto del paesino. Questa donna è l’amante di Dominic ed è molto affezionata al figlio Daniel. Involontariamente Daniel una sera, scambiandola per un orso, la uccide. Per sottrarsi alla vendetta del compagno della donna, un uomo violento e vendicativo, i due decidono di lasciare Twisted River per sempre. Si nasconderanno in varie città americane arrivando persino in Canada per sfuggire all’uomo che li cerca. In questa loro fuga sono aiutati da Ketchum, amico fraterno di Dominic che li informa sugli spostamenti del loro inseguitore. Conosceranno molte persone in questa loro peregrinazione vedendo scorrere mezzo secolo di storia: dall’assassinio di Kennedy, alla guerra del Vietnam fino alle guerre in Medio Oriente e il famoso 11 settembre.

Quasi 700 pagine per descrivere una storia profonda e sincera, a tratti ironica e commovente, in cui appare evidente la scarsa verosimiglianza nell’evolversi della trama, dall’omicidio involontario fino al finale.
Solo Irving poteva scegliere una trama campata per aria proprio perché uno scrittore deve saper immaginare, come fa dire allo scrittore protagonista del suo romanzo. Riesce perfettamente a guidare il lettore nei suoi spostamenti spazio-temporali, passando attraverso vari momenti della vita dei protagonisti, con assoluta maestria e senza che il lettore si disorienti nel suo percorso narrativo.
Percorso caratterizzato dalla presenza di molte anticipazioni, dalla presenza come personaggi della storia di molti autori importanti della letteratura americana come Kurt Vonnegut (che fu il suo maestro all’università), e dalla ripresa del suo vezzo, attribuito al protagonista scrittore, d’iniziare il romanzo dall’ultima frase per poi procedere a ritroso.
Irving ci trascina nei pensieri di uno scrittore, che vive per scrivere, che utilizza le sue giornate per pensare all’incipit giusto, alla frase migliore, al miglior modo di comunicare le proprie emozioni attraverso la parola scritta. Ci fa comprendere come la mente di un autore lavora sempre sulle parole, sul loro modo di unirsi e di formare un impasto emozionale che riesca a far distogliere il lettore dalla sua vita per fargliene vivere un’altra. La ricerca quindi del saper rendere avvincente una storia a dispetto della verosimiglianza e del buon senso generale.

VOTO 8/10